Rémi Hess, antropologo francese di orientamento fenomenologico, in un saggio davvero rigoroso sul tango , ci dice che la specificità di questa danza è data dalla rottura con il vissuto delle altre danze di coppia, cioè è data dall’improvvisazione “concepita in modo che, anche se rende possibile l’esecuzione di alcune figure, presenta un momento in cui si entra nell’improvvisazione pura”. E cosa significa improvvisare? Significa escogitare sul campo, inventare di fronte all’ignoto, senza alcuna garanzia. “Ma definire l’improvvisazione del tango”, prosegue Rémi Hess, “equivale a cercare di comprendere, all’interno e all’esterno della coppia, la diversa esperienza, anche se simultanea, del rapporto e della responsabilità che vivono il ballerino e la ballerina. Secondo questo antropologo, agli occhi dell'osservatore “il tango è un gioco, una danza costruita su un rapporto differenziato del tempo”. Attraverso l’utilizzo delle categorie filosofiche formulate da Husserl nel suo testo sulla coscienza intima del tempo, Rémi Hess giunge ad affermare che nel tango non si fa che percepire una continuità temporale che per una parte è memoria, per un’altra è percezione immediata e per un’altra ancora è attesa. Nel danzare, l’unica cosa di cui si è sicuri, è la percezione iniziale. Nell’improvvisazione del tango, a partire da questo punto iniziale si opera un lavoro di ritenzione della sequenza delle figure appena compiute, senza sapere nulla di quelle che potranno concatenarsi nel seguito. Nelle altre danze, invece, viene ricostruita un’oggettività di durata, come, per esempio, nei tre tempi del valzer, in cui si sa quando si comincia, si sa cosa accade nel mezzo e quando si finisce, in un quadro di riproduzione. In questa danza, invece, il quadro della riproduzione dei passi è sostituito radicalmente dall’improvvisazione. Infatti il tango fornisce sempre cose nuove da sperimentare. Però, ciò che mi ha veramente colpito di questo saggio è che pur parlando di percezione, di posizione di attesa cinestesica, cioè dall’interno del corpo, di tensione muscolare, ecc. Hess dice che si tratta di un’esperienza costruita su un rapporto differenziato del tempo. E il corpo? Sembra solo un supporto dell’esperienza. Forse R. Hess ha solo guardato ballare il tango e così facendo non ha potuto integrare nella sua indagine il posto che il corpo vi prende.
Per l’esperienza che ne ho fatto, invece, credo di poter dire che la sostituzione del quadro della riproduzione con quello dell’improvvisazione è possibile solo a partire da un intensificarsi della percezione di questo rapporto differenziato del tempo attraverso il corpo. E’ con il respiro, con le viscere, con i muscoli, con la pelle, che nel tango, entrando in un rapporto di reciproco ascolto e sensibilità con il corpo del partner, percepiamo il susseguirsi dei momenti che costituiscono questo continuum di cui non si conosce in anticipo né il dispiegarsi né la fine.
E' questo tipo di rapporto con il corpo, il proprio e quello dell’altro, attraversato dalla musica, a costituire il supporto dell’improvvisazione del tango. Anzi, è il terreno, l'unico terreno fertile su cui può germogliare l'esperienza del tango-danza. Il codice della danza è costituito da pattern formali estremamente ridotti, che possono articolarsi in combinazioni infinite. Il tango rappresenta una rottura con tutte le altre danze di coppia perché comporta una provocazione nel corpo dell’attesa della percezione, un’eccitazione corporea dell’attesa percettiva senza precedenti.
Se nel tango un codice esiste, questo è talmente parcellizzato da poter essere utilizzato dai ballerini come i colori della tavolozza dal pittore. Ed è grazie al rapporto con il corpo, proprio e dell’altro, che i partner dipingeranno il loro unico, irripetibile tango.
Vediamo come i due partner entrano in rapporto con il proprio corpo e con quello dell’altro nella danza. Nei manuali che trattano del tango, l’argomento spesso si esaurisce in poche pagine, per quanto riguarda il ruolo maschile, e addirittura in poche righe, per quanto riguarda quello femminile. Oppure, c’è chi lo confina direttamente all’appendice. E’ come se fosse un argomento ostico, scabroso, quasi scandaloso. Addirittura c’è chi, come Elisa Guzzo Vaccarino , alla fine taglia corto e dice “Sta di fatto che la sostanza ultima del tango consiste nell’incalzare dell’uomo, che avanza, da conquistatore, e nell’indietreggiare della donna, che riceve il segnale dal partner e che, nel fare ciò, man mano che i passi movimentano, muove il bacino-sedere in rotazioni seducenti. Fugge per sedurre il suo seduttore. Il maschio mostra tutta la sua maestria di cacciatore e la femmina risponde mostrando il “piumaggio” del posteriore”.
A quanto pare, nel tango danza, ognuno ci vede del proprio. E comunque, si parla di tutto, delle origini formali, delle evoluzioni stilistiche, delle varianti coreografiche, se ne parla con serio tecnicismo o con ironia un po’ riduttiva, ma sia tra gli autori argentini che tra quelli di altre nazionalità sembra problematico trattare qualcosa che ha a che fare con una cultura del corpo che resiste a trovare le parole per dirsi.
Dunque, il ruolo dell’uomo nel tango è guidare, proporre una successione di movimenti, di figure. Dentro di sé deve anticipare, mentalmente deve prevedere ciò che proporrà alla partner. L’uomo si rappresenta una successione di figure possibili e riproduce queste figure tenendo in conto le reazioni della partner, quantomeno così dovrebbe orientarsi. Il buon ballerino opera una negoziazione tra ciò che anticipa con la sua memoria, ciò che la musica gli propone, ciò che lo spazio gli consente. Deve inserire le figure e le sospensioni all’interno di una dinamica musicale non del tutto regolare, che prevede arresti e riprese, cosa che rende obbligatorio il fatto che questa negoziazione si compia nell’istante stesso dell’esecuzione. Ed ecco come anche per l’uomo il tango è invenzione, percezione e non riproduzione, anche se la parte di rappresentazione anticipatoria è sempre più ampia per il ballerino che per la ballerina. Ma nel tango sta soprattutto alla ballerina abitare questo rapporto con l’attesa vissuta corporalmente. La sua percezione degli stimoli provenienti dai segnali del partner è amplificata dalla concentrazione che ella pone su di essi, e questo caratterizza il ruolo femminile. La ballerina abile non riproduce un passo già conosciuto, non anticipa, è aperta, disponibile a tutte le contingenze: attende, mentalmente non si deve rappresentare niente, se lo facesse ostacolerebbe la danza. Attende sospesa, in attesa del nuovo stimolo che sta per arrivare dal partner. Dice Meri Lao con grande efficacia:”l’abbandono della donna a chi la guida è necessario e funzionale. Accordo tacito, semplice norma di circolazione, convenzione utile, anche in condizioni di assoluta parità. All’uomo spetta il compito di farsi strada, con la compagna, fra gli altri. Lei non è succube, ma sicura di sé, il suo compito è elaborare ciò che l’uomo le offre: lo spazio, l’occasione di lustro, la creatività”. Che dire di più? Sembra la formula del rapporto perfetto, non solo per quanto riguarda il tango. Sembra la formula che la psicoanalisi non ha trovato, la formula universale del rapporto tra i sessi. Il tango la fornirebbe? No, anche se nelle sue letras, come abbiamo visto, ne celebra la nostalgia. Nella danza si tratta di tutt’altra cosa. Vediamola più dall'interno:
di fatto nel tango l’uomo si muove prevalentemente all’interno di ciò che la psicoanalisi chiama registro fallico. Che cos’è? E' il registro del godimento maschile, esterno al corpo, modulato sul funzionamento del pene, quello del chi ha la macchina più veloce, l'i-phone più recente, quello del chi piscia più lontano, per intendersi. Non è appannaggio solo degli uomini, anzi, quando le donne ci si mettono, sanno essere dei 'veri uomini'. Pensate per un momento a cosa capita quando, da quasi principianti, si comincia ad essere capaci di mettere in fila delle sequenze di passi: ci si diverte a ripeterle e ripeterle per verificare i propri avanzamenti, e più si riesce ad aggiungere passi spettacolari più ci si sente propri fichi, in milonga. Sentite cosa capitò ad un compagno di tango proprio all’inizio della sua frequentazione delle milonghe: da principiante si avventurò, coraggiosamente, invitando una ragazza a ballare. Constatando la sua inesperienza nel ballare, la ragazza si fermò e gli disse con sdegno: guarda, che io so fare 37 figure di tango! E lui, fortunatamente provvisto di spirito, le rispose: e io 49 del Kamasutra! Ecco questo è un buon esempio di cosa sia il registro fallico. Sempre contabilizzabile, dice Lacan. E’ il registro della misurazione e della performance. Come abbiamo potuto verificare da questo aneddoto non è affatto estraneo alle donne ma in genere è più consono all’uomo che infatti, nel tango, guida, decide la sequenza e la direzione, non propone ma impone il passo, con fermezza e determinazione. Perché la cosa funzioni, però, l'uomo deve modulare le sue scelte assoggettandosi a un attento ascolto sia della musica sia delle reazioni del corpo della partner, che reagisce ai suoi input.
La donna che fa invece? Apparentemente, si abbandona alla conduzione del partner, sembra passiva e la sua passività sembra complementare all'attività dell'uomo.
E’ evidente che nella descrizione dei rapporti tra i partner del tango vige una logica di complementarietà. Se l’uomo è attivo, la donna sarà passiva, per complemento. E’ come se non si riuscisse a descrivere la posizione femminile se non in opposizione complementare con quella maschile, se non a partire dal registro fallico. C’è infatti tutto un capitolo del tango femminista in cui si reclama per la donna una parità di ruolo che riecheggia il grande equivoco in cui il femminismo, a mio avviso, si è arenato, ovvero che per raggiungere pari diritti e pari dignità la donna dovesse diventare come l’uomo, mascolinizzarsi. Se in un certo momento storico e culturale questo equivoco è stato funzionale e necessario perché l’emancipazione femminile potesse realizzarsi, è evidente che oggi le donne non ci si ritrovano più e l’esplosione del fenomeno tango ne è una testimonianza. Dalla politica all’arte, dal sociale all’economia, le donne sono alla ricerca di forme espressive, luoghi, modalità con cui dare spazio a ciò che rappresenta la reale specificità del femminile. Specificità di genere? Nemmeno questo approccio è riuscito a ricavare questo spazio, nella misura in cui ha confuso l'anatomia con ciò che significa l’assunzione soggettiva di un sesso, come, ad esempio, il transessualismo testimonia. Perché l’identità di genere, quella riportata sulla vostra carta di identità non fornisce nessuna garanzia del fatto che una donna si senta donna o che un uomo si senta uomo, nel rapporto con se stesso e con l’altro sesso. L'anatomia non è un destino, dice Lacan, piuttosto è l'effetto di una nominazione. E’ per questo che in psicoanalisi si parla di posizioni sessuali dell’essere, perché non siamo nel campo delle definizioni legate al biologico. Nel tango, nonostante l’emergere del genere trans-gender e il diffondersi delle milonghe Queer, le posizioni maschile e femminile restano due pilastri inossidabili, ovvero, se si sta nel ruolo maschile è necessario “fare uomo” , così come è necessario “fare donna” se si è nel ruolo femminile, anche con l’opzione di potersi improvvisamente scambiare il ruolo.
Dunque il tango come danza è qualcosa in cui l’uomo può reperirsi nella funzione fallica, stemperata e addolcita dalla necessità di assoggettarsi alla musica e all’ascolto del corpo della partner, e la donna può reperire qualcosa che le è specifico ma che trascende il modo con cui la logica fallica definirebbe il femminile, come un negativo del maschile.
(arrivederci all'ultima puntata)