(…) E' possibile affermare che Freud si è interrogato sulla faccenda nel corso di tutta la sua opera per giungere, nel suo scritto intitolato Analisi terminabile e interminabile, a rendersi conto che basare la questione della sessualità umana sull’idea che ciò che non è maschile è femminile e viceversa non riusciva a rendere ragione di ciò che l’evidenza clinica, cioè quello che i pazienti raccontavano in analisi, metteva sotto i suoi occhi, ovvero che non c’è nessuna complementarietà fra i sessi. Ma rispetto a che cosa la psicoanalisi, soprattutto con l’elaborazione successiva di Lacan, ha potuto affermare e confermare questa assenza di complementarietà? Questa dissimmetria radicale? E’ rispetto al modo con cui gli uomini e le donne, per così dire, abitano la realtà sessuata del loro corpo. Non è lo stesso modo. Nell’uomo la pulsione si articola, anche se non del tutto, prevalentemente secondo il registro fallico, in maniera localizzata, discontinua, ripetitiva e misurabile e questa maniera determina il modo con cui l’uomo vive, fa esperienza del proprio corpo e anche il modo con cui ne gode. Per la donna non è la stessa cosa. Sebbene anche le donne siano condizionate dal medesimo registro, questo non esaurisce il modo con cui esse entrano in rapporto con il proprio corpo e con quello dell’altro. Le donne possono certamente funzionare come un uomo nel rapporto col proprio corpo e quello dell'altro. Anzi, possono eccellere in questo. Ma, come ha messo in evidenza Jacques Lacan, le donne sono caratterizzate da una tendenza a sfuggire al registro fallico. C’è una parte del loro modo di godere che se ne sottrae. Questa parte della pulsionalità viene denominata dalla psicoanalisi “godimento femminile” che è “supplementare” rispetto al godimento fallico e per niente complementare. Di più, definendosi rispetto al godimento fallico come qualcosa dell'ordine di un'alterità, e non in opposizione ad esso, viene chiamato proprio godimento Altro. E’ un genere di godimento interno al corpo, pervasivo, contiguo, diffuso, silenzioso, non misurabile, non localizzabile come quello fallico, del quale è difficile riuscire a dire qualcosa, se non con lunghi giri di parole, o con la poesia e la scrittura, perché è una modalità di godimento che sfugge al linguaggio. Lacan dice che si tratta di un godimento avviluppato nella sua contiguità . Ci sono state donne psicoanaliste che hanno tentato di circoscriverlo fin dagli albori della psicoanalisi. Come per esempio Lou Andreas-Salomé, allieva di Freud, che in un suo testo scrive:”Il femminile deve essere definito come quel qualcosa che con il solo dito mignolo ha già tutto il braccio, non volendo significare un ascetico accontentarsi, anzi, dato che già il minimo apre lo spazio alla tenerezza di viversi completamente in esso” . Ma così come il godimento fallico non è appannaggio esclusivo degli uomini, anche il godimento femminile non è appannaggio esclusivo delle donne, come dimostrano le storie dei mistici, sia uomini che donne. Un’immagine che può esemplificarlo nitidamente è la statua del Bernini dedicata all’estasi di S. Teresa che si trova a Roma nella chiesa di S. Susanna sebbene Lacan dica di San Giovanni della Croce, coevo di Santa Teresa, di essere capace di un autentico godimento femminile. E non è raro, in milonga, scorgere sui volti delle ballerine e talvolta anche dei ballerini qualcosa che si approssima a un’espressione estatica.
Questo godimento femminile trova ampio spazio per esprimersi proprio nel tango e lo fa sia per l’uomo che per la donna. L’uomo, per quanto si incarichi prevalentemente di esercitare la funzione fallica deve restare in posizione di ascolto della musica e delle reazioni del corpo della partner, diciamo così che vi si assoggetta mantenendo un’apertura, una sensibilità, oserei dire femminile, necessaria all'armonica conduzione della danza. Le donne, invece, affondano a piene mani, a pieno corpo direi, in questa modalità pulsionale che sarebbe loro più confacente, anche se non senza la presenza di una certa angoscia che talvolta fa loro preferire aggrapparsi al registro fallico.
Il romanzo di Elsa Osorio “Lezione di tango” dedica ampio spazio al passaggio che nel tango una donna può fare dal godimento fallico, sempre contabilizzabile, ripetitivo, come può essere la ricerca febbrile dell’esatto pivot, del perfetto incrocio, del raffinato voleo, ecc. al godimento femminile che sorge dalla consapevolezza del proprio corpo, un godimento che, nella misura in cui trova sostegno sulla funzione di guida che il partner esercita, nella misura in cui può accondiscendere a tale funzione, che le fa da argine e da bordo, pervade tutto il corpo femminile e lo trascende. E' questo che, a mio avviso, costituisce il nucleo segreto su cui il tango come danza si genera e si sostiene.
Il tango come danza poggia sulla pulsionalità femminile che accetta di avvalersi di quella maschile, è in essa che affonda le sue radici e che trae il suo nutrimento, ed infatti più la ballerina riesce ad attingere alla propria femminilità, prendendo le distanze dalla modalità fallica, meglio risponde ai segnali del partner, cosa da cui il partner si sentirà gratificato e spronato a migliorare, con buona pace di tutti quelli che affermano che questo sia un ballo maschilista. Ecco perché Leonardo mi diceva di passare dal tango ballato con la testa al tango ballato con il diaframma, mi indicava la via per fare questo passaggio descritto dal brano della Osorio. Ed ecco perché, infine, Victoria esclamava: “Le donne! Non ci mettete il corpo!” Se la donna non ci mette il corpo, nel modo che le è più proprio, il tango non esiste. Rimane solo una sequenza meccanica, noiosamente riassorbita nell’ansia da performance e purtroppo è proprio ciò che prevalentemente si osserva nelle milonghe in cui spesso si respira un'atmosfera tesa, di disagio, un disagio che prende da un lato la piega rigida della competizione e del giudizio e dall'altro quella ancora più fastidiosa dell'esibizionismo. Certo, la responsabilità non è solo delle donne, è di tutti quelli che, uomini e donne, hanno difficoltà a fare posto a qualcosa di diverso dalla competizione, con se stessi e con gli altri, di diverso dall'esibizionismo, dal narcisismo, ovvero il femminile, una dimensione fatta di sfumature che si sottrae a qualunque definizione univoca.
Da una ricognizione di numerosi testi di tango-canzone si nota un intenso utilizzo del lunfardo, idioma rioplatense in cui si mescolano allo spagnolo diversi dialetti italiani e francesi. Ebbene in lunfardo si possono arrivare a contare fino a 90 modi di dire donna, senza mai riuscirla a dire del tutto. Ecco la testimonianza di questo non-tutto del femminile che sfugge al regime simbolico. Ma se nel tango canzone questo non-tutto non si lascia dire, nel tango danza riemerge come energia sotterranea su cui l’intero edificio della danza poggia.
Se nel tango canzone si rileva la ricerca di una dialettica che possa risolvere la lacuna incolmabile del rapporto tra i sessi, incontrando sempre lo scacco, nel tango danza vediamo come il registro dell’improvvisazione non solo dà spazio a tale lacuna ma la valorizza, come testimoniano le rotture e le sospensioni del movimento tra i partner, creando la contingenza perché le due modalità di godimento del corpo, maschile e femminile, possano non tanto riconciliarsi, condizione in cui il tango si annullerebbe in un valzer, ma lambirsi, come l’onda del mare lambisce la battigia, creando un litorale su cui possa iscriversi un’esperienza inedita, senza che l’una cancelli o tenti di riassorbire l’altra.
Per Jacques Lacan, fin dall’inizio del suo insegnamento, “la chiave della verità, la verità vera è che tra uomo e donna qualcosa non funziona” e non si tratta di far in modo che funzioni la dove “qualcosa non funziona”, ma di dimostrare che si tratta di una lacuna benvenuta perchè in quanto buco, vuoto di senso, “è la condizione stessa di nuovi atti e di nuovi turbamenti creativi”, la condizione per poter continuamente reinventare la relazione. Purtroppo questo non accade spesso, nella vita così come nel tango, perché quella lacuna strutturale per molti è difficilmente sopportabile, per altri decisamente inaffrontabile. Perché possa diventare una condizione creativa, uno spazio di invenzione, è necessario che ciascuno e ciascuna trovi prima un modo di regolare meglio il proprio singolare rapporto con quella lacuna, e talvolta per fare ciò si rende necessaria una psicoanalisi.
Qualche anno fa' mi trovavo a Parigi, alla festa conclusiva del Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi, c'erano molti colleghi provenienti dall'America centrale e del sud. A un certo punto, nell'alternarsi delle musiche che rappresentavano tutti i paesi intervenuti al congresso, l'orchestra attaccò un tango tradizionale argentino; scesero in pista una donna, più matura, e un uomo, più giovane; argentini, nella vita due colleghi. In molti restammo ipnotizzati dal loro modo di ballare: abbraccio morbido, mobile, l'uno avvolgeva l'altro, quasi con tenerezza; i movimenti erano piccoli, lenti ma sicuri, compiuti, ciascuno era preso in una specie di concentrazione estatica, intorno a loro l'aria sembrava vibrare; avanzavano penetrati dalla musica, penetrandola, come se la stessero sentendo in ogni singola cellula del loro corpo e ogni singola cellula restituisse l'eco di quel sentire nel movimento. Nulla di spettacolare, nessun virtuosismo, nessuna esibizione, eppure un piccolo miracolo di creazione si era compiuto. Mi commossi nel rendermi conto che guardarli danzare mi aveva suscitato un moto di pudore per quanto di intimo, sommesso ma profondo avevano saputo trasmettere. E mi sono detta: “ecco, questo è il tango, per me”.